Assunto di base

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.
(Albert Einstein)

sabato 7 giugno 2008

Cuor di tifoso

di Paolo Vaccaro


“Andiam di lì… andiam di là… non siam tifosi ma siamo ultrà…e sugli spalti di tutta l’Italia il nostro nome difendiam…”. È questo il coro che racchiude e sintetizza le differenze tra tifosi e ultras, due modi di vivere e vedere il calcio, termini spesso usati per dire la stessa cosa, ma che in realtà niente hanno a che vedere l’uno con l’altro. Essere tifoso: svegliarsi la mattina, immaginarsi la formazione, ritrovarsi nelle piazze o negli autogrill a fare previsioni e marcature. “Oggi vinciamo di sicuro, siamo sempre forti noi, i più forti, sempre”. Gioie e delusioni, tristezze ed euforie, le sensazioni di un sogno ed il sogno come sensazione, le emozioni di un’intera città, la città in un’emozione. Storie di vita e ricordi indelebili che nessun tempo potrà cancellare.

Essere ultras, “sette giorni su sette”: i colori dell’autunno e l’acqua a catinelle; il freddo dell’inverno, la nebbia e la neve; sole e sudori primaverili, prima dell’obbligato riposo estivo. I viaggi e gli autostop, i risparmi settimanali per le trasferte, spingersi ed incazzarsi ai botteghini,o scavalcare quando i soldi non ci sono. Dividersi un panino in cinque; cento battaglie (e bottiglie!) e mille e mille chilometri di fede, a sostegno dei propri colori. I giocatori, gli allenatori ed i presidenti: nomi e volti che spesso cambiano. Le reti subite e quelle segnate, cantare e sgolarsi in entrambi i casi: dare ogni volta tutto pur non giocandosi niente, vincere sempre anche quando sul campo si è perso. Chi non lo è mai stato proprio non lo può capire…
Ultras è una fede e non una moda da seguire! Una passione infinita, non semplice tifo, ma stile di vita! Portare avanti dei valori importanti, come amicizia e lealtà, in un mondo in cui stanno scomparendo. La gente ha solo l’immagine di vandalismo e violenza, ma non è così, non è mai stato così. Il fenomeno ultrà nasce negli anni ’50, quando i tifosi scoprono la passione del vivere lo stadio tutti insieme, riuniti allo stesso posto e sotto uno stesso vessillo. Nascono i Fedelissimi Granata a Torino, la Fossa dei Leoni di Milano scioltasi nel 2005, gli Ultras Tito sampdoriani che ancora oggi impressionano per numero e compattezza.

Gli ultras cominciano a distinguersi dai tifosi tradizionali, per un modo più attivo ed organizzato di sostenere la squadra: una voce unica a coordinare i cori ed i tamburi a dettare il ritmo delle mani, il petto nudo per distinguersi. Già negli anni ’70 ogni gruppo ha un nome ed uno striscione dietro cui posizionarsi e cominciano le prime coreografie con bengala e fumogeni. L’Ultras di questa generazione è influenzato fortemente dal clima di tensione politica e sociale che regna in Italia dopo il ’68: veste stile militare e i cori riprendono le canzoni delle manifestazioni e delle proteste; anche i nomi dei gruppi ispirano guerriglia. Contemporaneamente nascono amicizie e rivalità, ma è proprio questa situazione sociale a far nascere lo stereotipo, ancora vivo ed attuale nell’opinione pubblica, dell’ultras come teppista che va allo stadio per sfogare la sua aggressività. Oggi l’intero movimento ultrà è additato da tutti come portatore di violenza e subisce gli attacchi di politici, giornalisti e forze dell’ordine. I gruppi non dispongono più di sedi ufficiali e diffondono i loro pensieri attraverso fanzine autogestite ed autoprodotte, finanziate dalla libera offerta degli stessi ultras.
Il punto di partenza è: ”È davvero tutto come sembra? È sempre colpa dei tifosi?” Questa rubrica non vuole essere solo un’informazione parziale e di parte, ma la voce dei tifosi: la terza faccia della medaglia, quello che tutti sanno e vedono ma che nessuno dice.

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