Assunto di base

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.
(Albert Einstein)

sabato 28 giugno 2008

A un matrimonio



1. Non è un film, d’accordo, 
    ma evita lo stesso di guardare in camera.
2. L’organista non accetta canzoni a richiesta.
3. Se la sposa è il tuo amore di sempre, spaccia le lacrime 
    per commozione e fatti consolare dalle damigelle.
4. Quando il prete recita la formula del parlare ora 
    o tacere per sempre, fa per dire.
5. Durante il lancio del riso, però, mira ai capelli.

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giovedì 26 giugno 2008

Benedetto, Silvio

di Salvatore Tigani




Berlusconi vuole la comunione. E non la vuole così, sottobanco, in maniera, diciamo, clandestina. Come quando ti danno il resto sbagliato, una decina di euro in più, e tu dici, vabbe’, chissenefrega. Berlusconi la vuole regolare; insomma, col permesso del papa. La vuole firmata e controfirmata, col bollino iso9001, certificata. Fa la lotta alla contraffazione lui, pure. E quando il prelato gliela porge non dice solo, no, non la posso accettare, grazie uguale, Silvio rilancia: perché non darla a me e a tutti i divorziati? Siamo nel 2000, cribbio, aboliamo qualche vecchia legge, che dici, Benedetto?


E noi di colpo ci ricordiamo, o forse per la prima volta apprendiamo, che il premier ha una ex moglie. Su suggerimento di un editorialista recuperiamo la vecchia biografia, quella spedita a casa degli italiani uno per uno, salvo comunisti tesserati qualche tempo fa, e ivi leggiamo dell’amore evoluto poi in sincera (o grande o preziosa o chi si ricorda) amicizia. Gran comunicatore, il presidente. Il papa, dal canto suo, avrebbe potuto rispondere sì, come no, di leggi ad personam ne hai fatte tante tu ora te ne faccio una anche io. Ma qui, più che il solito scandalo à la Berlusconi, si rischiava un altro scisma e di questi tempi non ce lo si può permettere, ché i sondaggi lo danno, il papa, a livelli di popolarità inferiori a quelli di Veltroni. Quindi, per ora, niente da fare: Silvio berrà il vino e spezzerà il pane alla propria tavola, coi monsignori anche, gli stessi che non potranno mai ricambiare l’invito. Se Berlusconi chiede, però, Benedetto – o sì o no – risponde. Ed ecco il bel discorso sul divorzio, il matrimonio, l’abbraccio accogliente della chiesa ai divorziati, eccetera. Riassumibile, volendo, in un sms: “Silvio, lo sai ke tvb, ma x qst storia della comunione nn c pox fare nt. XD, J.R.”.

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mercoledì 25 giugno 2008

Gemellaggi e rivalità

di Paolo Vaccaro




"Fine settimana o infrasettimanale, già da ragazzino allo stadio per tifare... Con gli altri ragazzi tante voci un solo cuore: difender la tua curva con coraggio e con onore. Quante mattinate a preparare gli striscioni, le coreografie, sciarpe, torce e bandieroni… ma ciò che conta per davvero? Aspettare l’avversario appena giù dal treno”
In questi ultimi tempi si sente parlare sempre più spesso di forti rivalità ed accesi confronti che, non di rado, sfociano in episodi di violenza e scontri tra opposte tifoserie. Niente viene detto, invece, di quelle tante volte che i tifosi partono insieme, cantano insieme, scambiano ricordi, gioie ed amarezze. Insieme.


Amicizia e rivalità fanno la loro comparsa all’interno del pensiero dei tifosi intorno agli anni ’70, periodo di generale tensione sociale ed influenza politica, in conseguenza del ’68. Tale clima di incertezza arriva anche dentro le curve italiane, con i tifosi che vestono simili ai militari e con i cori delle canzoni che riprendono i motivi delle contestazioni e delle proteste. Le prime amicizie e rivalità nascono sotto la spinta dell’ideale politico.
Gli anni ’80 e ’90 segnano l’esportazione del modello italiano in tutta l’Europa, dai Paesi Latini alle Repubbliche Jugoslave: i tifosi si posizionano nel settore più popolare, la curva. Questi sono anche gli anni dell’inasprimento delle pene contro gli Ultras “facinorosi”, rei di scontrarsi spesso e volentieri contro tifoserie rivali. Comincia l’impegno, l’uso e l’abuso delle forze dell’ordine negli stadi, per “arginare il fenomeno”, ma che invece ha favorito un’altra e più sentita rivalità. Tra tutti i tifosi c’è un rapporto di indifferenza e di grande rispetto perché “si vive lo stesso ideale”. Ogni sostenitore, però, ha una squadra da odiare, spesso della stessa città o regione. Esistono rivalità nate per ragioni sportive ed altre createsi per la condivisione di uno stesso obiettivo, che sia uno scudetto o una retrocessione. Oppure, sulla scia degli anni ’70, la rivalità è prettamente politica: “mentre i giocatori danno calci a quel pallone, sulle gradinate sale alta la tensione; cori, insulti, grida e minacce avvelenate: ci si vede fuori e quando uscite non scappate”.

La condivisione di uno stesso modo di intendere il tifo organizzato, al contrario, porta tifoserie diverse ad unirsi e sostenere insieme, per rispetto di un’amicizia. Anche i gemellaggi nascono negli anni ’70 e la maggior parte di essi ancora esiste, anzi, il legame si è rafforzato col tempo. Amicizie che vanno anche oltre i confini nazionali, un fenomeno più dilagante di ogni stereotipo, tanto che la violenta Italia vanta il più alto numero di gemellaggi. Sostenitori di colori diversi che si uniscono sotto un comune vessillo. E’ il caso di Napoli e Genoa, che hanno festeggiato insieme la promozione in serie A, Bari e Salernitana, Atalanta e Ternana, Fiorentina e Catanzaro, o il primo e storico legame tra Vicenza e Pescara. Uniti, insieme oltre ogni distanza. Si racconta sempre di litigi e risse, scontri e tafferugli, mai di come sempre più spesso i tifosi si incontrano prima e dopo la partita per bere birra ed inneggiare goliardicamente alle due squadre; delle “visite guidate” in lungo ed in largo per l’Italia, ognuno con il proprio modo di essere. Per la serie “I colori ci dividono, la mentalità ci unisce”.

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martedì 24 giugno 2008

Le parole nella rete

di Licia Ambu

Ebbene sì. Anche le parole, volatili, sillabiche, mutate, sono cadute nella rete di link. Concatenazioni improbabili o di successo, si avvicendano nei post di blog, di siti e quant’altro. Ma c’è di più. Oltre il diario, oltre la cronaca, oltre la notizia, c’è la parola con il suo valore. Lo scrivere diventa gioco, semantica ludica abbracciata da iniziative che vogliono legare la letteratura fatta di carta a quella fatta di bit. Così pare. Nasce sotto l’egida di Queneau, ad esempio, imperativo emulare Esercizi di stile, il blog firmato da Antonio Zoppetti, zop blog. L’autore ha lanciato una sfida che numerosi hanno raccolto, declinando in molteplici stili diversi uno stesso contenuto, in realtà una variazione sul tema passeggero della rete, dando vita anche ad un volume Blog. PerQueneau?, edito da Sossella.

Dal 2002 ad oggi, i giochi, gli esercizi, le sfide si sono rincorse a colpi di creatività, come il racconto labirintico ispirato a Calvino o i racconti rousselliani, di derivazione combinatoria. Lo stesso schema del prodotto a più collaborazioni è una ricetta gettonata da altri blog, come il neonato Lasciamo una traccia, dove gli interessati si affacciano su un incipit e possono contribuire all’opera. Un po’ come quel gioco che si faceva da piccoli a scuola, quando si scriveva sulla prima riga di un foglio una frase, per poi coprirla e scambiarla con la persona accanto. Via via rispondendo a domande diverse si completava la storia, come dire, pluri-autoriale, per poi leggere il risultato. È certo che l’avvento della rete ha partorito diverse modalità interpretative e creative, possibilità di declinazioni semantiche originali e divertenti. Va sottolineato il fattore collaborativo, là dove un blog intrigante costituisce un passatempo sfizioso, talvolta rendendo fama all’autore/autrice in questione oppure perché abitare un link, un nodo della rete, rende di fatto quell’indirizzo uno spazio aperto e di incontro tra avatar. Con annessi vantaggi di una collocazione spazio temporale determinabile individualmente. 

Un esercito di grafomani incalliti sembra aver invaso costruttivamente lo spazio di navigazione, cambiando anche quello che è il rapporto autore-lettore, in una sorta di partecipazione più viva oltre al vantaggio indubbio di un livello di alfabetizzazione richiesto che si attesta su livelli minimi: un blog non è opera da ingegnere, ma solo forma di espressione personale che usato in maniera costruttiva può risultare anche terapeutico. Citati in proposito: Cribbiosilvio, il blog di satira cooperativa dedicato agli sfoghi di Silvio oppure il blog-diario di Ilenia, Lo scopriremo solo vivendo, che con i racconti impeccabili sulle vicende della coinquilina Mery Terry, ha fatto il giro dell’iperspazio, guadagnandosi un posto di riguardo. Insomma come ogni cosa, nemmeno le parole in rete sono un innesco negativo o positivo, ma solo potenziale, l’importante è come viene usato. Verba volant, scripta manent.

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lunedì 23 giugno 2008

Il tramonto va di corsa

di Salvatore Insana




Finalmente corro ai bordi della Senna. Scopro ad ogni piccolo balzo un frammento sorprendente del mosaico umano che vive nei pressi dell'acqua verde d' alghe e rifiuti francesi. Una coppia in pigiama rosa ridacchia e si coccola. Arabi di misura incerta. Due signore bianche d'abito ed appannate di colorito provano a far jogging a passo lento: si scompongo i loro chignons al mio passaggio. Anche in questo che presumo velenoso esempio di corso fluviale c'è chi tenta di prevenire la chiamata divina verso l'aldilà: tenta di anticipare il destino, pescando tranquillo in riva. Proverà questo coraggioso senza coscienza o senza paura, a servire la morte sul tavolo di cena?


Le panchine, a tratti occultate dagli arbusti di palude, suggeriscono la possibilità di una metafisica anche in questo luogo. Un vecchio viandante piegato su se stesso dorme da seduto, annegando nella lunga barba e celando il volto con un copricapo targato Usa d'un blu scolorito. A breve distanza, quasi in posa statuaria, quasi in versione Gilbert&George, due indiani fumano in compagnia di piccole buste ben comode ai loro fianchi. Guardano nel vuoto e non si parlano.
Baffi inumiditi e volto macchiato dalla fatica, un manipolo di vegliardi in calzamaglia e bastone sorseggia una birra, nella veranda improvvisata d'un bar a prima vista orgogliosamente malsano. Tra le antenne e le parabole, una donna d'avorio nero, occhi infiniti e turbante rosso, cerca di ritrovare il figlio nascostosi nel cortile. Una nuova coppia, di movenze occidentali, costeggia il canale. Un sozzo giovincello da' una bonaria gomitata al padre complice: quella borsetta nera, così sola mentre il fianco di lei lascia spazio alla mano dell'amato, sarebbe la preda ideale! Ma il buon senso lascia che per una volta prevalgano i buoni sentimenti sulla selvaggia lotta alla sopravvivenza.
Evitando le ruote dei velo, intendendo di tanto in tanto qualche scampanellio d'avvertimento, supero i ponti più bui, dove piccoli aggregati adolescenziali in fase turbolenta, con capelli ricci ed abiti rappeggianti, consumano lattine e tabacco al tramonto delle loro giovani speranze. Mentre proseguo il mal di cinema risale in me: ritorno alla prima sequenza di 2001, A Space Odissey, nell'osservare contrapporsi due larghe famiglie, una contro l'altra nell'astio primordiale d'un regolamento di conti. I manganelli nella mano di uno, ed i denti ringhiosi d'un altro sono tenuti a freno, con viva fatica, dai più ragionevoli presenti nell'ambiente, mi allontano prima che veda il sangue colare. C'è della polvere che si alza: si gioca a calcio nel campo di cricket, si gioca a bocce sull'altra sponda, si gioca a far l'amore tra l'ombra e gli alberi. S'alza la fatica, il fiato inizia a mancare. Corro ancora, accelero, infine chiudo gli occhi. Li riapro e posso vedermi macchiato di verde, colorato di rosso, deformato ed affaticato, sullo specchio d'acqua d'un Narciso in pantaloncini, avanza il tramonto parigino.


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