Assunto di base

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.
(Albert Einstein)

sabato 21 giugno 2008

Come vendere qualche centinaio di copie in più

di Salvatore Tigani




Dice che le ha piccole. In compenso però ha grandi mammelle. L’aspetto che dovrebbe terrificare il lettore/elettore/spettatore è la grottesca proporzionalità inversa tra le due parti anatomiche. Se la vostra ragazza non ha seno, vi consiglio, un controllo fatelo. Per scrupolo.


Le ha piccole, molto più piccole del normale, dice. Ma più piccole rispetto a cosa? Va a giocare a calcetto con il calibro? Nelle docce convince i suoi compagni di gioco a mettere i propri gioielli di famiglia sul tavolo e, cavolo, banco piglia tutto? O forse, semplicemente (ed ovviamente), le ha più piccole “rispetto alle mammelle” ed al resto del corpo?

Tuttavia voglio rincuorarlo, dicendogli, davvero, di non preoccuparsi, che se come racconta, da qualche tempo a questa parte, ha almeno tre figli non riconosciuti in giro per l’Italia, allora ha ragione quel vecchio detto che proclama irrilevanti le dimensioni.
Ad ogni modo, una pregunta: se dovesse un giorno scoprire di avere altre sproporzioni, per piacere, tenga la notizia per sé.
Ps: Ecco perché lo chiamano Elefantino.

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venerdì 20 giugno 2008

Tenere un blog

  1. È un diario ma non è segreto: tutto quello che scriverai potrà essere usato contro di te.
  2. Per avere più visite inserisci in un post tutti i nomi di personaggi famosi che ti vengono in mente, Google farà il resto.
  3. Il successo del tuo blog dipenderà per un quarto dalla tua capacità argomentativa, per un quarto dalla originalità dei temi trattati e per metà dal numero di blog amici che commenterai e visiterai quotidianamente.
  4. La tua vita sociale si impoverirà in maniera inversamente proporzionale alla tua vita on-line. E non per forza è una brutta notizia.
  5. Non credere a tutto quello che scrivi.

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giovedì 19 giugno 2008

La top five di Vecchioni

di Paola D'Angelo




Un giorno di lezione come tanti nella facoltà di Scienze della Comunicazione, se non fosse per la presenza di una persona che esce un po’ fuori dalla nostra quotidianità: Roberto Vecchioni. Ormai tutti sanno che da tempo è il docente della cattedra del Laboratorio di scrittura, ma vederlo lì al bar in mezzo ai suoi studenti fa un certo effetto. Ci avviciniamo un po’ intimidite, ma con uno slancio di sfacciataggine ci presentiamo e gli parliamo del nostro settimanale on-line, creazione di studenti squattrinati. Il professore ci sorride e dice di conoscere bene la nostra categoria e, divertito, ci concede qualche minuto. Il tempo a disposizione è veramente poco e l’unica domandache ci viene in mente, ma che può racchiudere il mondo di un cantautore, è:“Qual è la top five di Roberto Vecchioni?”.
Con qualche difficoltà il Professore elenca cinque brani dirara bellezza, che necessitano di essere accompagnati da alcuni cenni storiciper capirne l’importanza.

My way - FrankSinatra. Soprannominato “The Voice” per la perfezione del suo apparato vocale, Sinatra è entrato nella storia della musica popolare americana grazie soprattutto alla sua semplicità e alla grande capacità comunicativa che,agli occhi del suo pubblico, ma soprattutto delle donne, lo ha reso irresistibile. Sicuramente My way è il brano più conosciuto, poteva ripeterlo milioni di volte, ma il riscontro con il pubblico era il medesimo, grazie anche all’attenzione che dava al testo, faceva si che quelle parole risuonassero alle orecchie come mai sentite.

Born inthe USA – BruceSpringsteen. Pubblicato nel 1984, questo brano è stato urlato da tutta una generazione. Per Springsteen fu il ritorno al rock puro, che, tra lafine degli anni settanta e i primi anni ottanta, si era un po’ perso. Racconta la vicenda di un uomo nato e cresciuto negli Stati Uniti, e costretto dallo stato, a combattere per un ideale che non è il suo.

Yesterday – Beatles.Esce nel gennaio del 1964, ed è immediatamente entrato a far parte della storia della musica popolare, per la sua bellezza e per la semplicità delle sue note.Un motivo che non si può cancellare dalla mente. Lo stesso Paul McCartney,unico autore, lo ha definito il secondo miglior brano della produzione beatlessiana (il primo è There and Everywhere), e se lo dice lui…


Nel blu dipinto di blu– Domenico Modugno. L’unico brano italiano nella top five di Vecchioni. Quando ha pronunciato il titolo del brano, spontaneamente il commento è stato: “non poteva mancare; e il prof. Ha aggiunto:”CERTO!” La canzone di Modugno è conosciutissima in tutto il mondo, è diventata l’inno degli italiani all’estero, ma la sua importanza è legata alla rivoluzione che apportò alla musica “leggera” italiana. Nel 1958, sul palco dell’Ariston arrivò un urlo: VOLARE OH OH.La reazione fu di sorpresa, visto che fino ad allora le orecchie del pubblico erano abituate ad ascoltare brani come: Grazie de’ fiori. Allora viene naturale dire: Grazie Modugno!

Like a RollingStone – BobDylan. Storico brano del 1965, contenuto nel capolavoro di Dylan: Highway 61 Revisited. Sono stati scritti fiumi di parole su questa canzone, dall’effetto che ebbe sugli ascoltatori alla rivoluzione radiofonica che apportò, ma il motivo che l’ha resa un simbolo è l’importanza che ebbe nella storia della musica popolare. Dylan con Like a Rolling Stone ha suggellato la nascita del Rock e dell’elettrificazione. E’ più di una canzone, è la rappresentazione dell’inizio di una rivoluzione che di lì a poco avrebbe cambiato il mondo.

Prima di lasciarci il Prof. ci tiene ad aggiungere una cosa:“Non potete morire senza prima aver ascoltato La buona novella di FabrizioDe Andrè”. E allora seguiamo il suo consiglio.

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mercoledì 18 giugno 2008

controcanto - istantanee 3

di Salvatore Insana



Take me to the station
And put me on a train
I've got no expectations
To pass through here again

Once I was a rich man
Now I am so poor
But never in my sweet short life
Have I felt like this before

Controcanto. Quanti sono i clochard di città! Passando da Place d'Italie dopo il tramonto ce ne sono sempre almeno quattro cinque. Un gruppo affiatato, dal tipico odore alcoolico, dal tono scanzonato, dal linguaggio sincopato ed ancora non afferrabile. turistica. A far vibrare le corde logore di un violino, producendo un suono da musica minimale, davanti al Beabourg. A testa bassa sui gradini delle stazioni. Piccoli pezzi di cartone provano a spiegare le loro ragioni. Li si incontra Imploranti qualche centesimo tra i vagoni, in cima alle scalinate della chiesa, all'ingresso d'una moschea. A dormir sotto le pioggia, con una mortale incuria per il proprio corpo. Quando rientro in casa, mi volto ormai con gesto abitudinario sulla sinistra, a salutare con gli occhi quell'omino che si piazza sotto la tettoia del rivenditore Fiat di zona, coprendosi con coperte dal colore smog, una grande busta imbottita come cuscino. Esseri solitari, tristi eppure spesso solidali con chi sembra vivere la loro stessa condizione. Claudicanti e deformi, curvi e schiacciati dal peso dell'ipocrisia altrui.


Dispersi, abbandonati, estranei al traffico ed al travaglio vacuo di chi è sedotto o costretto dal lavoro. Figure anarchiche per eccellenza, carico di mistero è il loro tracciato di rughe in volto, il loro sguardo che va verso un orizzonte già sbarrato o ancora sperato. Si legge in questi giorni sugli schermi informativi ai tornelli d'ingresso. Qualcuno si è gettato tra i binari della linea 6. Si cercano testimoni. Due tra questi mendicanti stavano per azzuffarsi. La postazione di lavoro, se così si può dire, è contesa. L'uno agiva attraverso uno struggente cartellone, esibito tra le mani logore: Vraiment et uniquement pour manger!...cranio rasato, carnagione chiara, basso di statura, volto scavato, alcuni buchi ben visibili tra i denti superstiti. Sguardo cattivo, o meglio inacidito dalla misera condizione cui deve far fronte.
Eppure fuma, eppure parla al cellulare. L'altro era fornito di volantini di un verde ormai stinto che tentava di porgere con sguardo non troppo implorante agli automobilisti in attesa al semaforo. Più robusto, forse di origini arabe, barba incolta, cappellino sozzo in testa. È lui adesso a padroneggiare il posto: sarà arrivato in anticipo sui contendenti stamattina. Quando anche l'altro prova a reclamare i suoi diritti di povero, il primo inizia ad emettere dei versi non conosciuti, alza la voce, ed minaccia di gettare dal cavalcavia assai prossimo alla rue di lavoro il suo concorrente. Sembrano entrambi professionisti esperti ed evidentemente consumati. È un vero impiego questo allungare la mano per raccattare pochi spiccioli. La vita è finita per loro? Arrestata. Non ho visto neanche un vetro d'auto abbassarsi. Non sarà un caso ma bensì una eccellente metafora vederli fermi al semaforo rosso. Da lì non sanno o non possono più fuggire.

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martedì 17 giugno 2008

Pentesilea

di Salvatore Insana




"E guardate laggiù, per chi scrivete! Uno ne arriva spinto dalla noia, un altro appesantito da un pranzo luculliano, e non pochi, può esserci di peggio? hanno letto da poco il quotidiano. Accorrono distratti, come ad un ballo in maschera, han le ali ai piedi solo per la curiosità, e le signore sfoggiano se stesse ed i vestiti, collaborando gratis alla recita."
Serata alla Comedie Francaise, in place Colette, dove si passa dal tentato piacere d'esser spettatore in un luogo esclusivo all'indagine sociologica d'un ambiente nel quale si conserva uno stato di privilegio bianco e alto borghese, custode di una Francia che non c'è più per le strade, nelle quali è piuttosto la mescolanza di colori e di etichette a predominare



Presepe vivente e documento imperituro d'un teatro imbalsamato ed ancorato a modi e messe in scena assai poco evolutisi negli ultimi cento anni, il prestigioso teatro ospita fino a metà Aprile un nuovo (?) adattamento della Pentesilea di Heinrich Von Kleist, opera nella quale l'autore tedesco, per sua stessa ammissione, ha inserito “tutta la sozzura e tutto lo splendore della mia anima”. In principio infatti l'interesse per questa storia nasceva dal detournement operato dallo spirito disperatamente e radicalmente romantico di Kleist, che ha spostato l'asse degli eventi dal mito omerico della regina delle Amazzoni, giunta a Troia in soccorso ai Troiani e uccisa, dopo numerose vittorie contro i Greci invasori, da Achille, ad una differente figura di eroina e paladina della passione più sublime, anima pulsionale che tralascia e sovverte ogni strategia di guerra, innamorandosi e facendo innamorare lo stesso Achille, rendendo questi innocuo e riducendone in mille pezzi il corpo per violento, eccessivo atto d'amore.

Testo depredato creativamente, in Italia, da Carmelo Bene per il suo Invulnerabilità d'Achille, e attraversato con radicale spirito sperimentatore da Carlo Quartucci e Carla Tatò nel 1984 a Berlino, la Pentesilea di Heinrich Von Kleist, atto unico scritto nel 1807 ma visto su un palcoscenico per la prima volta soltanto nel 1876, soffre in questo adattamento parigino di un registro troppo tradizionale di messa in scena, incurabilmente ancorato ad un neoclassicismo stantio, con attori che sembrano materializzare in carne ed ossa quella perfezione impossibile e priva di ogni slancio che si può osservare nelle figure alla Jean Louis David, immobili nella loro evidente e voluta posa statuaria, emblemi d'un mondo fermo nella conservazione d'un autodistruttivo rigore morale e canone di comportamento. Solo la figura eversiva della Pentesilea nera, pantera agile e nervosa, in questo adattamento più volte con atteggiamenti cari alla vulgata musicale “r&b” - l'unica a muoversi tra i marmi umani della tradizione - cerca di opporsi. Eroina tragica della passione che vuole lottare e vincere contro ogni ragion di stato, ama Achille, colui il quale dovrebbe uccidere per volere degli alleati troiani. Alla legge che procede su linea retta o rimane invero rigida nel suo porre ostacoli e piantare sempre nuovi paletti, Pentesilea è colei che gira a lato, (s)fugge alle consegne, va per la sua tortuosa e fatale strada di chi vive senza previsioni e prevenzioni. Ecco le due correnti che si scontrano, la staticità della legge che affronta il dinamismo! Assolutismo della ragione contro fermento della passione.
Come si è potuto notare anche in questa versione diretta da Jean Liermier, la Pentesilea è una tragedia che poggia tutta la sua forza e la sua potenziale noia sulla parola che si fa attore, la narrazione che prevale sull'azione, il discorso che diventa protagonista ben più dell'atto. Ancora più dell'eroina allora, è l'opera stessa ad essere il punto rivoluzionario di turno, ribelle creazione sdegnosa di piacere nella sua “distanza” dagli eventi, mai visti sul palco e solamente narrati o ri-visti. Nel campo della scena è tutto un re-agire, discutere, riflettere, raccontare l'accaduto, al massimo un progettare, mentre è il fuoricampo a custodire e celare l'azione, a lasciarsi nel buio del parziale non sapere.
È questo un rimando alla nostra quotidianità affaticata dell'arrivare sempre in parziale ritardo sull'azione presente? Quel malinconico prender consapevolezza solamente quando il treno giusto è già passato? Se i dialoghi in lingua francese ancora sfuggono parzialmente alla comprensione totale, l'altra faccia della medaglia è il poter con tranquillità poggiare lo sguardo su tutto il resto, i percorsi coreografici degli attori, le scenografie di richiamo espressionista, l'uso delle luci – piuttosto basse, con nebbia ed umidità connotanti un luogo che s'avvicina all'antro infernale - , ed ancora la gestualità, l'espressione dei volti, in scena ed in platea.Ed infine, la nota umoristica. Se al momento più generosamente patetico della tragedia, quando un affranto Achille si inginocchia ai piedi della regina delle Amazzoni e pronuncia parole di estrema lode - un “ Tu es incroyable, femme etonnant!”, in traduzione francese - un gran colpo di tosse s'avverte dietro le mie spalle, e poi un altro ed un altro ancora, ecco che le residue speranze di trovare in questa recita un trasporto tale da tuffarsi nella storia risultano vane. Si è distratti e distolti, si scuote il capo e si torna a galleggiare nella più o meno critica osservazione della composizione scenica degli attori, della scenografia che cita con un po' di ritardo sui tempi le creazioni futuriste ed espressioniste, si torna a dubitare sull'utilità ed il piacere d'una messa in scena che, tale e quale, avrei potuto vedere nello stesso sacro luogo cento anni addietro. E quella freccia che una della Amazzoni stava per scoccare in direzione del buio, che nello spazio del teatro coincide con le poltrone di platea, forse doveva proprio esser scoccata per svegliare quei fruitori tanto pronti ad applaudire, tanto lieti d'esser in quella prestigiosa postazione.

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lunedì 16 giugno 2008

Insonnia da cellulare

di Michele Trimboli




Le radiazioni prodotte dai telefoni cellulari ritardano e riducono il sonno e non solo: possono causare anche mal di testa e senso di confusione. È quanto emerge da una ricerca condotta dai ricercatori del Karolinska Institute e dell’Università di Uppsala, in Svezia, e coordinata dalla Wayne State University del Michigan, negli Stati Uniti.La cattiva notizia farà certamente godere di soddisfazione tutti coloro che ne sostengono addirittura la nocività assoluta, perfino nelle ore baciate dal sole pieno e splendente. Quasi che l’ormai irrinunciabile telefonino fosse, appunto, uno strumento micidiale, un dispositivo che serve soprattutto a bollire il cervello, se non proprio un pronipote delle bombe “silenziose” che compaiono nelle storie di fantascienza.


Pubblicato dal quotidiano “The Indipendent” , lo studio ha preso in esame 70 individui (35 uomini e 36 donne) di età compresa tra i 18 e i 45 anni: una parte di loro è stata sottoposta ad un bombardamento di radiazioni del tutto simili a quelle emesse da un normale telefono cellulare, un’altra parte, invece, ha fatto da gruppo di controllo e cioè è stata sottoposta a ’false’ radiazioni, situazione paragonabile ad una ’non-esposizione’; a tutti però è stato detto di avere subito gli effetti degli stessi campi elettromagnetici. Le conseguenze riscontrate evidenziano che un utilizzo del “mobile-phone” prima di andare a dormire rallenta la capacità della persona a raggiungere gli stadi più profondi del sonno; le radiazioni elettromagnetiche da cellulare, inoltre, sono responsabili della riduzione del tempo di permanenza in uno stato di sonno profondo, con l’esito di diminuire l’attività dell’organismo relativa allo smaltimento della stanchezza accumulata nel corso dell’intera giornata, minimizzare la capacità di concentrazione, accentuare il grado di stress psicofisico e nei casi più gravi aumentare la possibilità d’insorgenza di patologie dell’ambito psichiatrico come depressione maggiore e disturbi di personalità.

Il processo fisiopatologico relativo è spiegato dal prof. Bengt Arnetz, che ha guidato le ricerche: secondo il luminare, le radiazioni dei cellulari possono essere intese come “evento stressante il sistema nervoso centrale” e, come ogni tipo di “stressor” patologico esistente, influire negativamente su stato di veglia, concentrazione e sonno degli individui.
Soffrite d'insonnia? Iniziate con lo spegnere il telefonino prima di andare a dormire.

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domenica 15 giugno 2008

Porc(ell)i con le ali

di Salvatore Tigani




Quando il porcellum mette le ali. Mitico. Calderoli ritratta per l’ennesima volta: prima sì, poi no, adesso di nuovo sì, certo che sì, se non fosse per quei due, tre punti da sistemare…Perle, dunque, e l’Italia si rialza, imbracciando il telefonino più che i fucili, e va al voto, acclama il nuovo difensore della classe operaia Umberto Marx, successore di Pietro, anzi no, di Carlo, ché Pietro tanto canaglia non l’aveva dovuta ritenere Roma, visto che ci ha costruito La Casa. E Silvio ha già l’ansia, ma, che ci vuoi fare, è uno sporco lavoro però qualcuno deve pure governarla quest’Italia disillusa, senza più fascio o martello, ma solo con la testa sull’incudine e i piedi tre metri sopra il cielo.Via la spazzatura, quindi, finalmente: scende in campo letteralmente, stavolta, l’unto del signore, forse oggi meno unto di una volta, con meno miracoli da promettere o forse solo uno, almeno nella forma, (ri)alzati e cammina Lazzarona d’una Italia che ti meriti il governo che hai!


Epperò, chi ce lo dice che stavolta il botto non lo fa davvero, il Cavaliere azzurro (ma soprattutto rossonero): carichi pendenti non ne ha più (non li ha mica sprecati i cinque anni del suo secondo governo!) ed ora potrebbe - sottolineasi potrebbe – farsi un po’ gli affari nostri, invece che i suoi.Nessun pregiudizio (sia mai che ci si etichetti Comunisti!) verso il new deal nostrano, anzi un gran pacco di speranza: quanta ne abbiamo noi italiani! Vagoni di speranza pronti a viaggiare a tutta birra sulla nuova TAV, o per il ponte sullo stretto, e chi di speranza vive…
Che bella l’Italia, però, sognatrice e disillusa, incantevole e sudicia (ancora per poco, però, si diceva: parola di Silvio), invidiata ed invidiosa. L’Italia dei Santi, degli Eroi e di Silvio Berlusconi. L’Italia del Bertinotti che manda i figli a scuola dagli Yankee e segue lo spoglio dall’ Hard Rock Café (gli avesse portato un po’ di sfiga, l’America?). L’Italia degli ecologisti: Pecoraro Scanio, primo Verde in Europa a guidare un dicastero, primo Verde in Europa a tornare da dov’era venuto. L’Italia dei socialisti: con cui nessuno socializza più. E l’Italia di quell’altro, come si chiama, quello che “mangia tanto – dicono – e tromba poco”. Ah, Ferrara. Quant’è bella l’Italia, che almeno certi fenomeni sono davvero passeggeri.
Certi, almeno. E più o meno.

Veltroni, comunque, una cosa buona l’ha fatta. In questo momento però non ci viene in mente.

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